Archeologia tra ricerca tutela e valorizzazione / Archaeology between research, protection and enhancement

Published

2010-10-27

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DOI:

https://doi.org/10.13138/2039-2362/17

Authors

  • Daniele Manacorda Università degli Studi di Roma Tre

Abstract

I beni archeologici sono anche una risorsa economica, ma tale definizione è insufficiente se posta in contrapposizione con il valore immateriale della cultura in sé, in mancanza del quale tutto perde valore, perché esso incide profondamente sulla qualità della vita.Ogni sito archeologico nasconde in sé le potenzialità di una condivisione di culture e prospettive e il rischio di nuovi steccati in nome di un’identità rivendicata con l’occhio rivolto al passato. Guardando con gli occhiali dello storico nella profondità del tempo ci vediamo immersi in un intreccio, dove l’identità non è più un dato statico da disvelare, ma una condizione dinamica, il frutto di un processo di esperienze condivise. L’archeologia è infatti uno strumento formidabile che contrasta l’oblio, rimotivando continuamente le finalità della conoscenza critica del passato, per ricostruire l’origine delle differenze tra le culture e afferrare la complessità del presente.L’archeologo deve assumersi la responsabilità di stabilire una nuova gerarchia delle informazioni. Non esistono scorciatoie quando in ballo è la conservazione della memoria storica del nostro Paese, ma la sua salvaguardia è parte di un progetto complessivo di attenzione alla qualità del vivere, rispetto alla quale l’archeologia può dimostrare di saper conciliare questa salvaguardia con gli interessi più generali della collettività. Prima di valorizzare occorre pensare se ne valga davvero la pena. Il ruolo progettuale degli archeologi dovrebbe fondarsi sulla capacità di interpretare ciò che resta del passato, di restituirgli un senso. Per questo la valorizzazione è una funzione sociale vitale, che identifica le capacità di una nazione di testimoniare la propria eredità culturale e di farla vivere manifestandosi a tutti i livelli pubblici, associativi, privati nei quali si articola la società civile.

The economical value of the archaeological resources is insufficient when opposed to the immaterial value of culture itself: without the immaterial value, indeed, everything is effortless because the quality of life is deeply rooted on it. Every archaeological site internally hides both the great potential of sharing cultures and perspectives, and the risk of new boundaries in the name of an identity claimed by looking back at the past. Looking through the glasses of a historian inside the depth of time, we plunge into a plot, where identity is not a static fact to be revealed, but a dynamic state, the result of a process of shared experiences. Archaeology is an amazing tool against forgetfulness: it continuously motivates the aims of a critic knowledge of the past in order to reconstruct the origin of the differences between cultures and to understand the complexity of the present time. The archaeologist must assume the responsibility of establishing a new hierarchy of data. There are no short cuts when the preservation of the historical remembrance of our nation is at stake: its safeguard is encompassed inside a broader project focused on the quality of life. The archaeology concerning this may demonstrate to be able to reconcile the safeguard and the general interests of the community. Before enhancing, we need to be convinced it is worth of it. The role in planning of the archaeologists should be built on the ability of interpreting the remained past and of giving back a meaning. For this reason, the enhancement is a social and vital function, which identifies the abilities of a country in witnessing its own cultural inheritance and in revitalizing it by revealing itself under the various aspects of the civil society: public, private and associative ones.

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How to Cite

Manacorda, D. (2010). Archeologia tra ricerca tutela e valorizzazione / Archaeology between research, protection and enhancement. Il Capitale Culturale. Studies on the Value of Cultural Heritage, 1(1), 131–141. https://doi.org/10.13138/2039-2362/17

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