A proposito di uso politico della paura

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Pubblicato

2019-09-27

DOI:

https://doi.org/10.13138/2704-7148/2227

Autori

  • Claudia Storti

Abstract

Qualche riflessione su una delle tante possibili declinazioni del tema della ‘paura’ mi è stata suggerita da un convegno sulle mobilitazioni di piazza, che ha avuto per fili conduttori la ‘piazza’ come «punto di partenza per una nar- razione del basso della storia d’Italia» e la ricerca «dell’interazione fra ‘piazza’ e istituzioni».

Il nesso tra i due diversi ambiti tematici appare evidente se si considerano i nodi posti al centro del Laboratorio di storia del penale e della giustizia. Paura/e e, in particolare, il cosiddetto ‘principio di precauzione’ che, nell’at- tualità, come nel passato, consente e ha consentito «a lobbies o agli stessi Stati» di «focalizzare le opinioni pubbliche su allarmi che si presume possano generare consenso» per evocare proprio sulla base di tali allarmi l’esigenza di «protezione».

L’“uso politico” della paura è fenomeno ben noto nel passato come nel presente e siamo purtroppo abituati alla ricorrente strumentalizzazione in tanti Stati del mondo di paure talvolta effettive, talvolta, invece, indotte dalla propaganda delle opposizioni oppure dai ‘discorsi’ della politica allo scopo di ottenere consensi per l’introduzione o il rafforzamento di progetti di riforma, per non dire di investimenti pubblici (basti pensare al muro sul confine del Messico ideato dall’attuale presidente degli USA).

La maggiore difficoltà consiste, invece, nel decifrare quanto determinate paure siano condivise da governi e società, e quanto, al contrario, si verifichi, da questo punto di vista, un deciso «scollamento» tra Stato e societa.