La paura estrema in politica: sui concetti di terrore e terrorismo

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Pubblicato

2019-09-27

DOI:

https://doi.org/10.13138/2704-7148/2215

Autori

  • Francesco Benigno

Abstract

Una lunga tradizione intellettuale occidentale ha creato e diffuso per il mondo l’idea di un uso rigeneratore della violenza politica utilizzata al fine del mutamento sociale e della liberazione dall’oppressione. In questo quadro essa ha difeso e teorizzato l’azione “terroristica” come uno strumento violento di liberazione sociale, l’unico spesso nelle mani dei poveri, delle minoranze oppresse e dei senza mezzi contro lo strapotere delle potenze, dei dittatori, delle maggioranze. Per far conoscere le ragioni di una lotta, per esistere politicamente, per propagandare le proprie idee e, in ultimo, per colpire un avversario incomparabilmente più forte, occorre compiere un gesto violento, inatteso, improvviso. Ciò che potremmo chiamare il terrorismo rivoluzionario, insomma è diretto prioritariamente, più che a terrorizzare il nemico, a “risvegliare” le masse dormienti, a spingere alla lotta il proprio popolo mediante un atto esemplare capace di rappresentare sul piano simbolico la vittoria possibile.